Danilo Manera
Luis Martín Gómez è nato nel 1962 a Santo
Domingo.
Ha lavorato a lungo come giornalista e annunciatore
del telegiornale in una rete televisiva molto seguita. Più di recente, ha
animato il programma culturale di interviste “Yola yelou”. Come videomaker ha
realizzato prodotti di comunicazione per il PNUD, l’UNICEF, l’Agencia
internazionale per lo sviluppo, e varie associazioni della società civile,
fondazioni e Ong dominicane. Dopo aver partecipato negli anni Novanta ai
concorsi di Casa de Teatro e Radio Santa Maria, ricevendo più volte premi,
incoraggiato dal magistero e l’apprezzamento di due grandi narratori
dominicani, José Alcántara Almánzar(1946) e Armando Almánzar Rodríguez
(1935-2017), ha raccolto i suoi testi in Dialecto (Santo Domingo, El
Arco y la Lira, 1998), che meritò il Premio nazionale per il racconto del 1999
e lo fece conoscere nell’ambiente letterario. Da questa raccolta traduciamo
dieci racconti rappresentativi diun ventaglio di tematiche incisive e soluzioni
tecniche complesse, sempre con uno sguardo acuminato e per niente
convenzionale.
L’autore affronta anche problemi drammatici, non
solo dominicani, come il mondo infantile che si difende con la fantasia dalla
ferocia degli adulti (Santiago, Joselito, Luis) o la vicenda di una
giovane donna che, nonostante la pazzia provocata dalla sua reazione alla
violenza del padre, riesce a vendicarsi del proprio carceriere, il medico che
l’ha in cura (Anita, la Principessa). C’è uno stupro anche nella storia
di In transito, che va immaginato negli anni Ottanta, quando erano
appetibili le borse di studio per l’Unione Sovietica o i paesi dell’Est. La
narrazione è condotta su tre piani: la vittima con la sua testimonianza
scombinata, il giornalista che vuole costruirci sopra una notizia bomba e il
narratore onnisciente che un po’ puntualizza e un po’ rimescola le carte, tanto
che il giornalista e gli assalitori finiscono per sovrapporsi. Altre volte
spunta una dose di ironia tinta di tragico, come nell’aspirante scrittore
ossessionato dal non commettere sbagli e non lasciare in giro brogliacci, che
finisce per bruciare insieme alle sue bozze (Nessuna traccia) o nel
pubblicitario che si infila gli auricolari per ascoltare i compositori
preferiti e isolarsi dal lavoro e dal mondocircostante, fino a non rendersi
nemmeno conto di un incidente fatale (Momenti di musica). Juke-box di
sogni parte invece dal genere di canzone melodica dominicana più popolare,
la bachata, musica di amarezza e disamore, di nostalgia e smarrimento, i
cui testi sono spesso lamenti per l’abbandono di una donna che spezza il cuore.
E il protagonista, in un bar malfamato, mischia alcol e brani di un grande
musicista, Víctor Víctor (1948), per ricostruire nel ricordo l’amata perduta.
Solo che alla fine, quando quasi ci riesce, rivela che è stato lui a ucciderla.
La tendenza dell’autore al microracconto e alla
narrazione fulminea, già visibile nel suo primo libro, fiorisce compiutamente
in La destrucción de la muralla china (Santo Domingo, Cole, 2003) da cui
ricaviamo trentuno racconti fulminei o corti e uno più lungo, quello omonimo.
Negli scritti brevi pulsa il senso del rovescio e del paradosso, la prospettiva
a testa in giù del pipistrello, o delle valigie che si infilano dentro i
passeggeri. Luis Martín Gómez ha una spontanea simpatia per chi si mette di
sghimbescio a suo rischio e pericolo, per gli sfortunati e gli strampalati,
come il bibliotecario che finisce in manicomio, ma anche lì “trasforma le
foglie degli alberi in racconti e i fiori in poesie” o il Che Guevara che si
smarca dall’uso indegno del suo ritratto; l’uomo invisibile geloso che cerca la
moglie nei sogni degli altri o il pifferaio di Hamelin che fa annegare una
turba di politici con motivetti popolari. Ciò gli permette di rilevare una
ragnatela di manie e inciampi, meschinità e trappole, regalandoci con le sue
storie un piccolo sistema d’allarme – che a volte canticchia e altre volte
scortica – contro l’insulsaggine e la viltà.
La distruzione della muraglia cinese, è stato scritto all’inizio di questo secolo (i fatti di Piazza
Tienanmen sono del 1989 e la spedizione del Mars Polar Lander è del 1999),
quando la situazione dei diritti civili e il controllo su internet in Cina
erano ancora più stretti e punitivi, ma il suo messaggio libertario è ancora
ben attuale. Il paese più popoloso del mondo è visto da un remoto villaggio di
frontiera di uno degli Stati più piccoli del pianeta e si mescolano tre voci: quella
del dissidente cinese, quella dello scolaro rurale Toño e quella del
giornalista che sta scrivendo un reportage. E alla fine forse tutto germina
dalla tendenza di quel giornalista a trasformare tutto in letteratura.
Luis Martín Gómez vinse nuovamente il Premio
nazionale per il racconto nel 2009, grazie a Memoria de la sangre (Santo
Domingo, Mar de tinta, 2008), un libro che osa scendere con le sue storie nelle
viscere di un’epoca terribile, i “Dodici Anni” del governo oppressivo di
Joaquín Balaguer, durati dal 1966 al 1978. Balaguer (1906-2002) fu per lunghi
anni uno stretto collaboratore del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, suo
ministro e presidente fantoccio quando Trujillo fu assassinato nel 1961. Il
convulso periodo che seguì vide il governo democratico di Juan Bosch, abbattuto
da un colpo di stato militare che lo costrinse all’esilio, poi la Rivoluzione
dell’aprile 1965 dei costituzionalisti, soffocata dall’intervento statunitense.
Balaguer vinse tre volte le elezioni, sostenuto dagli USA e in un clima di
intimidazione e violenze contro gli oppositori. Il suo governo fu segnato dagli
omicidi politici e la repressione, con un soffocante sistema poliziesco e
spionistico. Furono anni di torture e sparizioni, abusi e terrore.
Attraverso la finzione, l’autore ci restituisce
quell’atmosfera nell’episodio di un rivoltoso freddato durante una visita alla
famiglia (Cantale “La cucaracha”, ispirato alla morte dell’attivista
politico Amín Abel Hasbún nel 1970); nello schifo del giovane lettore di
Balaguer (il tiranno era ormai cieco), che vorrebbe punirlo, o almeno toglierli
il sonnifero perché lo tormentino le atrocità commesse (Dormicum);
nell’attesa eterna e impaurita della fidanzata di un latitante, che ritira
rocambolescamente le lettere dell’amato (Non piangere che dicembre arriva
presto, racconto in cui si fa riferimento al sequestro del colonnello
dell’ambasciata statunitense Crowley nel 1970, per la cui liberazione furono
rilasciati numerosi prigionieri politici, ma che scatenò un’ondata di
persecuzioni indiscriminate). E nel quarto e ultimo racconto che proponiamo, Memoria
del sangue, un giornalista costretto ad abbandonare il mestiere proprio per
le angherie e censure del regime balaguerista torna anni dopo al lavoro come
innocuo reporter di eventi sociali e scopre in un ospizio l’ex capo della
spietata polizia balaguerista, dimentico e dimenticato, ma in cui può ancora
smuovere il ricordo dei cruenti delitti commessi.
Questo scavo all’indietro si accentua nel primo
romanzo di Luis Martín Gómez, Rumor de río(Santo Domingo, Mar de tinta,
2016). Il protagonista-narratore si rivolge al padre, ormai smemorato per via
dell’Alzheimer, rievocando la propria infanzia e prima adolescenza nel
quartiere EnsancheOzama, sulla sponda orientale del fiume che bagna Santo
Domingo, proprio in quei cupi e frustrati anni Settanta. “A te il ricordo è
scappato via come una fidanzata infedele e me mi perseguita come un’amante
ossessionata,” dice al padre. Ma i frammenti che via via recupera del passato sono
come fermentati dalla distanza, un po’ alla maniera del grande maestro Marcio
Veloz Maggiolo (1936), secondo il quale la memoria è come un mulinello che
sposta e confonde, senza lasciare nulla di stabile e nitido, miscelando le
fonti proprie e altrui. Alla fine una banda di ragazzini, cercando in un
terreno incolto armi e cibi in scatola sotterrati durante la rivoluzione
dell’aprile 1965, finisce per provocare involontariamente la cattura di un
gruppo di guerriglieri, grazie all’intervento di un informatore della polizia
di Balaguer, l’italiano Don Giácomo, appassionato di musica lirica e figlio di
un riparatore d’organi innamoratosi d’una mulatta. Ma attorno a questo motivo
centrale, che esplode come una bomba a orologeria causando il senso di colpa del
protagonista, ruota uno sciamedi storie minime, umanamente bislacche, sotto il
cielo torbido della Storia grande e sfuggente. Con in più la straordinaria
abilità dell’autore nel riprodurre il linguaggio popolare e il gergo infantile,
anche nei particolari scabrosi. La sua scrittura, che sapeva prima ridursi a
gocce – di pioggia, di aceto o di miele –, scorre qui come un fiume, dragando
le voci di un quartiere e trasformandole in finzione appena prima che l’oblio
se le porti via.
Luis Martín Gómez ha anche scritto significativi
libri per l’infanzia: Mamá, a aquellacaracola le está naciendo un mar
(2004; Premio nazionale di letteratura infantile 2003), El hombregrama y
otros cuentos verdes y pintones (2010) e Mami: Operación elefante
(2014).
Dal 2005, è Direttore del Dipartimento di
Comunicazione della Banca Centrale della Repubblica Dominicana. A vederlo un
tempo leggere e commentare le notizie al telegiornale della sera, con la sua
voce elegante e morbida, impeccabilmente vestito e infallibilmente pettinato,
così come a vederlo ora dietro la sua scrivania o in una conferenza stampa,
sempre pacato e diplomatico, con lo schietto sorriso delle sue origini
mediterranee (padre spagnolo, madre d’ascendenza libanese), non si assocerebbe
facilmente la sua immagine elegante e misurata con la sua narrativa, così
inquieta e policroma, a tratti sperimentale e poetica.
Ma le apparenze ingannano: i suoi
reportage brillano per coraggio e coscienza, imparzialità e rispetto. E come
giornalista conosce da dentro la paradossale situazione che ci coinvolge un po’
tutti, sostanzialmente disinformati in mezzo a una valanga di informazioni,
proprio come gli abitanti di La Notizia, che abitano fisicamente tra le lastre
dei giornali, ma ritrovano memoria e dignità solo imparando a decifrarle. È
così che il giovane Juan scopre sulle pareti delle catapecchie la verità che lo
riguarda. E la letteratura è per Luis Martín Gómez un diverso modo di vedere,
sentire e toccare, strettamente legato all’emozione. C’è forse dunque nelle sue
pagine soprattutto un semplice ma caloroso invito a spingersi oltre, a
sillabare con cura, a sognare senza telecomando, “come uno che guarda per la
prima volta in un telescopio e si trova all’improvviso di fronte a una stella
immensa”, meritando così di veder comparire la libellula fosforescente del
tamarindo, che somiglia al “diamante che la luce disegna quando attraversa le
lacrime".
Luis Martin Gómez: Non piangere che dicembre arriva presto. A cura di Danilo Manera. Robin Edizioni, Torino, 2017.
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ResponderEliminarFelicidades por este magestuoso artículo en italiano y el libro que muestra el año te ha entrado en muy buena onda espero que sigas recibiendo estas y otras publicaciones sobre tu trabajo , bien que te lo mereces. Lo compartiré en Coloquio....
ResponderEliminarAbrazos
Doris Melo.
Gracias, Doris. Abrazos
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